TESTIMONIANZE

TESTIMONIANZA DELLA SIG.RA RITA

Ricordo che il Santuario della Madonna di Fatima era gestito da un bravo parroco di nome Don Luigi Perriccioli che è stato tanto buono con i ragazzi ed il personale e dava da mangiare a diverse persone (tra le quali io, personalmente, devo dire solo grazie). Poi, negli anni sessanta, nei locali dell’opera fu fatto un istituto per i ragazzi poliomielitici.”

TESTIMONIANZA DELLA SIG.RA CARMELITA TABORGNA

Qualche ricordo su Don Luigi Perriccioli

Mi chiamo Carmelita Taborgna e sono nata a Cittá della Pieve nel 1937. Laureata in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Firenze, ho insegnato scienze, chimica…nella scuola media superiore e scienze matematiche nella scuola media inferiore. Sono stata segretaria del consiglio pastorale locale per qualche anno, al tempo di Don Sestilio Picchio. Inserita da quasi sempre nel mondo del volontariato, ora sono in pensione.

Durante la mia infanzia – adolescenza, ricordo che in famiglia i miei parlavano spesso di Don Luigi Perriccioli, non solo come prete (Rettore) del Santuario della Madonna di Fatima, ma come persona di grande rispetto e come modello di riferimento, grazie alle sue conoscenze culturali, alla sua saggezza e al suo costante sostegno verso i poveri del paese, in particolare verso i giovani rimasti orfani. Per questi, al di là dell’aiuto concreto quotidiano con cibo e vestiario, aveva istituito, nei locali attigui alla chiesa, dei laboratori per imparare un mestiere, in armonia alle abilità operative di ognuno. Dietro la guida di un bravo artigiano del posto, di nome B. Bricca, i ragazzi poi iniziarono la loro attività nel paese stesso. Ciò non era poco, dato il periodo storico, caratterizzato da notevoli precarietà economiche.

Ancora: sempre in casa, di frequente sentivo la mamma che riferiva il contenuto di alcuni consigli dati da Don Luigi a proposito di una certa eredità. Si ho detto bene, “eredità”. Infatti la mamma doveva usufruire di parte del patrimonio lasciato dai suoi genitori: i nonni Lucio e Marianna, ma che due suoi familiari si opponevano adducendo motivi personali inadeguati. Don Perriccioli suggeriva, alla luce della sua saggezza e cultura, l’iter burocratico della legalità. Così fu fatto e la mamma vinse la causa prendendo la parte di eredità che le spettava.

Ho conosciuto fisicamente Don Luigi, sempre operoso e cordiale con noi ragazzi, quando ci si rincontrava per le vie del paese, ma soprattutto al Santuario, durante i riti religiosi: S. Messa, funzioni serali.

La nostra famiglia era composta anche dal babbo, due fratelli e una sorella Roberta, primogenita, più grande di me di 17 anni. Lei molto devota alla Madonna di Fatima, faceva anche parte dell’associazione: Dame di San Vincenzo. Mi portava spesso con lei, non solo a fare visita a qualche bisognoso e portargli quello che raccoglievamo con le offerte ma anche alle funzioni del Santuario. Questo per me come fosse un premio e una festa. Infatti lo era davvero: ero sempre la prima ad essere pronta e entrare in chiesa.

Don Perriccioli con le sue prediche dal pulpito, sia per la passione che metteva, sia per le conoscenze sulle qualità mariane, unite alle innate capacità espressive, sapeva catturare l’attenzione di tutti i fedeli, sempre numerosissimi, in particolare di noi piccoli. Mi dispiaceva quando finiva di parlare.

Poi Don Luigi l’ho perso di vista, e per motivi di studio fatto lontano dal paese, e per la malattia della mamma deceduta nel 1959, ma il suo ricordo rimane sempre vivo in me con stima e gratitudine.

Sono particolarmente affezionata a queste chiese, molte delle quali situate in toscana. Pregando Maria Santissima, in questi luoghi ho trovato la soluzione ai miei problemi e spero che la condivisione di questa mia testimonianza possa essere utile a tutte quelle persone che hanno bisogno di un aiuto.

TESTIMONIANZA DEL SIG. MARIO MOSCI

Negli anni ’40 il Sig. Mario Mosci era ancora un bambino. Una volta adulto, ha scritto i ricordi degli anni trascorsi al Santuario e all’Oratorio di Città della Pieve, durante il periodo della seconda guerra mondiale. La testimonianza ci é stata gentilmente fornita dalla famiglia, che ringraziamo.

Quella mattina era una giornata favolosa, mi trovavo all’istituto ed essendo il più piccolo non lavoravo alla segheria, mi tenevano invece all’accettazione del portone d’ingresso, così ero anche in ascolto dei rumori che venivano dal cielo. Quel giorno, o meglio quella mattina verso le ore dieci, cominciai a sentire il rumore degli aerei. me ne accertai, e corsi dai lavoratori della segheria per dare l’allarme, poi mi precipitai giù per la campagna per trovare un rifugio e sfuggire così ad un eventuale bombardamento del paese. Dopo aver percorso centocinquanta-duecento metri, vidi gli aerei quasi sopra la mia testa, non era la prima volta che mi spingevo in campagna verso la fonte Venella, ma quel giorno gli aerei erano davvero molti. Non ci pensai molto e misi in pratica ciò che ci avevano insegnato: mi sdraiai a pancia sotto tenendola sollevata, gomiti poggiati in terra, mani sulla testa e con le dita che tappavano le orecchie, bocca aperta per la respirazione. Non udendo alcun rumore, dopo alcuni minuti provai a liberarmi le orecchie ma mi misi paura perché sentii un rumore assordante. Mi rimisi nella posizione iniziale e attesi un bel po’ per prudenza, così in quella posizione che mi avevano insegnato i “grandi” fu veramente una salvezza, non sentii più rumori né altro, né cadde alcun residuo su di me. In quei momenti di attesa la paura mi aveva attanagliato e credo di aver tanto pregato. Non era la prima volta che mi rifugiavo dietro la collinetta vicino alla Fonte Venella ma quella volta le bombe caddero a circa un centinaio di metri da me. Dopo un po’ che ero immobile in attesa che il buon Dio mi desse un aiuto, allentai la chiusura delle orecchie e non sentii più nessuna esplosione. Guardai fuori da quella piccola grotticella e vidi della nebbia che copriva la fonte della Venella, inizialmente non sapevo cosa fosse, poi mi venne in mente ciò che avevo sentito dire dalla gente e cioè che dalle esplosioni si alzavano delle nubi di polvere di terra, così presi il mio fazzoletto nella tasca dei pantaloncini me lo misi sul naso per evitare di respirare quella polvere, che sembrava polvere da sparo. Dopo essermi accertato che verso la pieve non c’era nessuna nube di fumo, tornai di corsa verso l’Istituto. Poco dopo incontrai una squadra di volontari che forse mi stava venendo a cercare. Poi sentimmo verso la Venella gli strilli di qualcuno, si seppe poi che era un mio coetaneo soprannominato “Piccioncino” che era andato verso la fonte dove la mamma stava lavando i panni, per fortuna anche loro se la cavarono senza nessuna ferita. Certamente dopo il mio grande spavento il cuore mi batteva forte forte, ma non vedendo, e non sentendo più rumori, mi prese una bella tranquillità, m’incontrai con i miei compagni d’istituto e facemmo una grande baldoria, eravamo tutti felici e contenti. A pensare a quei momenti eravamo tutti più coraggiosi e si diceva qualche preghiera di più. Ricordo che fu quella volta che una scheggia cadde dentro la cappellina dove si trovava la statua della Madonna di Fatima.

LE MONACHE DELL’ORFANOTROFIO

“All’orfanotrofio vi erano tre suore, se mi ricordo bene, dell’ordine “Sacro Cuore di Gesù”. Vi era la badessa la responsabile, la cuoca suor Clotilde e la terza era una sarta. Io che ero il più piccolo dei ragazzi ricoverati, i primissimi anni certamente non andavo in falegnameria. Inizialmente non c’erano altri laboratori, poi con il tempo è venuto il pittore Antonio Marroni e, se ricordo bene, io fui il primo ad aiutarlo. Mentre lui pitturava io gli preparavo le vernici, gli pulivo i pennelli, ecc. ecc. Un giorno gli stavo preparando come al solito le vernici e c’era una bella vernice bianca, io portavo delle scarpe di tela che avevano un colore bianco sporco quasi sul giallo, così mi venne una bella idea, mi misi a pitturare le mie scarpe, e vennero belle bianche, pulite, ero orgoglioso di averlo fatto.Dopo un po’ di tempo venne Antonio, mi chiese se avevo preparato quella vernice che mi aveva detto, io gli risposi di si, ma vide le mie manine sporche di bianco e naturalmente mi chiese come le avevo sporcate, la mia risposta fu:” perché c’ho pulito le mie scarpe”. Quando si accorse che avevo pitturato le scarpe e rimesse nei miei piedini, me le fece subito togliere dicendomi che le scarpe non si potevano calzare finche non erano completamente asciutte. Me le tolsi e non le rividi mai più, sicuramente perché le scarpe di stoffa tinte con la vernice ad olio erano certamente da buttare o che ero il piccolo, ero sempre libero, quando andavo alla segheria ci andavo per prendere la legna da portare alla cucina, perché l’interesse mio era rimediare qualcosa da mettere tra i denti. Molte volte le monache mi facevano sbucciare i fagioli, con loro ci stavo molto bene, a volte rimediavo bene qualche buon boccone. Aggiungo che suor Clotilde era di Frosinone e quando l’aiutavo e mi trattenevo in cucina con lei mi raccontava di quando era piccola lei. Fu un giorno che la madre superiora mi chiese delle mie scarpe, perché non le mettevo più, io non seppi rispondere e diventai rosso, così lei mi rifece la stessa domanda. Non ce la facevo a rispondere, era troppo forte la mia vergogna così mi prese per la manina e mi portò alla porta, la aprì e mi disse :”quando sarai capace di rispondere alle mie domande potrai tornare da noi” e chiuse la porta dietro le mie spalle.Stetti molto, anzi moltissimo tempo senza tornare nelle cucine, come incontravo le monache cercavo di di non farmi vedere, non so quanto durò quel mio nascondermi, non ricordo.

DISTRIBUZIONE DEL CIBO AI POVERI

“Oggi parlando con Rina sul disastro avvenuto ad HAITI, mi è venuto in mente quando eropiccolo ed aiutavo nella distribuzione del pasto di mezzogiorno ai bisognosi di Città della Pieve (PG)nel periodo bellico, negli anni millenovecentoquarantatre – millenovecentoquarantaquattro.Noi orfanelli aiutavamo le suore sia all’interno delle cucine che nella distribuzione del pasto ai bisognosi. Il punto preciso era all’interno dei locali dell’istituto, appena entrati dal grande portone d’ ingresso, la porta della chiesa (che allora si chiamava” S.FRANCESCO” e oggi è il Santuario della MADONNA di Fatima) era sulla sinistra, subito di fronte c’era una porta,quello era il punto dove si distribuiva il pasto caldo, meglio dire, la minestra calda.Sulla destra c’era la porta che conduceva all’ingresso dell’istituto, quindi per la distribuzione diquei pasti, aprivamo la porta di fronte, mettavamo un tavolo per posare la grande pentola colma di buona minestra. La distribuzione veniva eseguita dalla suora cuoca, noi ragazzi l’assistevamo per qualsiasi bisogno che avesse avuto. I poveri portavano il pentolino per trasportare quel poco che gli occorreva per tutta la famigliola, molti di loro si facevano coraggio, aspettando che finisse la distribuzione, per poi tornare a riempire il pentolino e fino a che c’era minestra veniva distribuita. A Città della Pieve, Vi erano delle persone molto bisognose, c’erano tra loro molti anziani, in quei tempi le pensioni erano un privilegio per pochi, ma nel paese si conoscevano tutte, non ricordo mai delle discussioni tra loro, erano molto pazienti nell’attesa del loro turno. C’erano degli elementi curiosi, ricordo molto bene una persona anziana che veniva chiamata” LUNGO N’DITO”. Era un uomo infelice fisicamente, e veniva preso in giro con quel nome, lui, poveretto, era sempre nervoso e minacciava con il suo bastone botte da orbi. Era molto volenteroso, perché aspettava tutti i “postali” con la speranza di portare qualche valigia ai passeggeri, aveva una cariola a piatto piano, poteva caricare al massimo tre valigie e trasportarle fino alle case dei clienti, da quello che ricordo fisicamente non era al massimo, quindi per faticare di meno aveva studiato una cinta che passava sulle spalle. All’epoca c’erano dei ragazzi che prendevano in giro sempre qualcuno, sempre persone di età avanzata, tra questi ricordo “BISBAGNA” , questo poveraccio ricordo che era sempre in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti per poter riempire il suo povero stomaco. Poi si metteva all’ombra e cercava tra tutto ciò che aveva raccolto qualche cosa da mettere in bocca. Lo ricordo molto bene quest’uomo, era più taciturno e più tranquillo. Ho molto pensato a tutti quei poveri che si dovevano arrangiare per tirare avanti nella loro miseria. Era un giorno di ottobre, avevo solo otto anni ed ancora non sapevo che sarei diventato un piccolo protagonista di un evento meraviglioso e indimenticabile rimasto impresso nel mio cuore. Eravamo in piena guerra e lo bombe continuavano a cadere intorno a Città della Pieve, la tristezza attanagliava molte famiglie, il dolore gonfiava i loro cuori che soffrivano per i loro cari partiti per andare a combattere quella guerra amara e crudele.

GIORNO 2 OTTOBRE 1943

“In quel tempo ero ospite dell’Istituto “Opera salviamo il Fanciullo” fondata da don Luigi Perriccioli. Io ero il più piccolo degli ospiti e molto spesso mi facevano controllare il portone d’ingresso ed aprire a chi suonava. Un incarico che non mi dispiaceva affatto, le visite non erano molte, il mio tempo libero lo trascorrevo sempre giocando solo con i sassolini o con ciò che trovavo nel cortile.Nella mattina del 2 ottobre del 1943 tra le 10,30 e le 11,00 sentii suonare il campanello del portone d’ingresso e mi recai come il solito ad aprire chiedendo chi fosse. Aprii il portoncino e la sorpresa fu grande, non era come il solito trovarsi una persona di fronte, ma con molta meraviglia mi trovai davanti un piccolo somarello che portava sopra il suo carrettino un’enorme cassa, in quel momento rimasi senza parole…….. rimasi concretamente frastornato, il trasportatore mi disse “chiama Don Perriccioli e digli che la Madonna è arrivata”, aprii il portone e come un fulmine corsi da Don Perriccioli “E’arrivata la Madonna, è arrivata la Madonna” urlai, lui inizialmente rimase immobile, senza parole, poi disse subito di farla portare nella sala e di chiamare tutti per far conoscere questa sacra immagine venuta da noi per portarci la Benedizione di Dio. Dopo pochissimi minuti tutte le persone della falegnameria erano pronte a vedere la nostra bellissima Madonnina, anche io ero curioso di vederla “Quanto sarà Bella” mi chiedevo.Quelli non erano certamente bei tempi, ma quello era un giorno speciale, a breve avremmo visto l’immagine della Madonna, eravamo tutti in attesa di vedere il Suo volto, il suo sorriso, i suoi occhi, momenti unici ché ho conservato per sempre dentro il mio cuore. Dopo pochi minuti il Sacerdote, Don Luigi, entra nell’ambiente raccolto, vidi che agli occhi aveva delle lacrime, era molto emozionato, qualche secondo più tardi iniziò con le preghiere rivolte alla Cara Benedetta Madonnina. Tutti pregarono devotamente, alla fine furono tolte le tavole di copertura e la paglia che copriva quel viso che stupì tutti e ci lasciò a bocca aperta, io avevo solo otto anni, non avevo mai visto un immagine di Madonna così meravigliosa. Ci chinammo tutti per offrirle il nostro cuore pieno d’amore con tante promesse fatte, ma molto sincere. Ancora oggi mi sento un miracolato per aver potuto accoglierLa per primo e mi sento di ringraziarla per questa Sua scelta, e per avermi dato la possibilità di essere partecipe di un evento così grande, direi mistico. Da allora, nella mia vita la Madonnina mi ha guidato e protetto. Ricordo, con molta chiarezza, quei minuti stupendi, celestiali, sentivo tutto il Suo amore. Dopo pochi istanti, mi resi conto che le persone e il sacerdote resero visibile quell’immagine della SANTA VERGINE nella pienezza della Sua perfezione.Questi fatti si conclusero tra lunghe e sentite preghiere ,ricordo che i presenti ne parteciparono con tutto l’amore verso la Madre Celeste. Io sono rimasto ricoverato in quell’istituto fino il 1955, vicino alla cara Madonnina di Fatima, facendo il chierichetto nel nuovo santuario a LEI DEDICATO.Ho svolto le mansioni affidatemi da Monsignore Don Luigi Perriccioli, fino a quando gli orfani dell’istituto erano rimasti pochi perché alcuni erano partiti per il servizio militare, come Perini Rolando che ci lasciò dopo poco tempo di servizio militare, mio fratello Angelo e dopo poco anche mio fratello Giovanni. Così spesso dopo le funzioni nel santuario ero io che facevo le piccole spese necessarie per la cucina e per Don Luigi.

TESTIMONIANZA DEL SIG. RINO GIULIACCI

“Caro Don Luigi,

chi scrive queste poche righe è uno dei tanti ex ragazzi che negli anni quaranta e cinquanta frequentava assiduamente l”Oratorio che tu avevi aperto, non solo per il motivo principale che era quello di radunarci nell’ambito della chiesa per toglierci dalla strada e da tutti i pericoli morali e materiali di cui noi giovani eravamo potenziali vittime, in quel periodo triste della nostra storia pre e post bellica in cui la miseria e la disperazione regnavano sovrane. Gli altri motivi erano poi molteplici tra i quali quello dell’insegnamento del catechismo, della musica, della cultura, del teatro ecc. nell’intento di suscitare in noi il sentimento dell’onestà e l’interesse per il lavoro che erano, come dicevi tu, alla base di un futuro dignitoso dell’uomo.

Grazie Don Luigi, mille volte grazie per il tuo impegno, per avere procurato lavoro e sostegno in quel periodo difficile alle persone non più giovani, in estremo bisogno di un salario per sostenere le loro numerose famiglie. Non era necessaria la qualità del lavoro, importante era lavorare, per esempio rimuovere la terra da un punto all’altro nel campo adiacente il Santuario che la tua fondazione aveva acquistato e dove ora sorge il campo sportivo,

Tu gioivi quando potevi consegnare la busta paga agli operai, ti sentivi appagato dal sorriso di gratitudine di quei volti scavati dalla sofferenza e dalla fame.

Grazie, ancora grazie a nome dei numerosi ragazzi rimasti orfani ai quali tu procurasti un laboratorio di falegnameria con docenti di chiara fama che si prodigarono per l”insegnamento della professione.

Grazie per i numerosi cantieri che suggeristi alle Autorità di aprire per l’insegnamento delle varie professioni, (muratori, scalpellini, carpentieri ecc. di cui io stesso facevo parte).

Io non dimenticherò mai le lunghe file di poveri per lo più anziani, senza pensione, che si formavano nell’ora di pranzo presso il Santuario per usufruire della mensa che il tuo refettorio forniva con tanta generosità. Ricordo Suor Clotilde e la operosa Rosina, che si prodigavano con gioia regalando un sorriso ed una parola di conforto a tutti, quando scodellavano dalle grandi pentole una minestra o un piatto di pasta fumante.

Grazie Don Luigi, per avere procurato a Città della Pieve il prestigioso primato di avere fondato in Italia il primo Santuario dedicato alla Madonna di Fatima.

Sicuro di interpretare il sentimento dei pievesi che ti conobbero personalmente, tra i quali io sono fiero di esserlo stato e di quelli che invece ti conoscono per fama, perché tu ormai appartieni di diritto a quel gruppo di persone eccellenti che hanno fatto la storia di Città della Pieve, ti rinnovo la mia gratitudine.

Benedici dal cielo la nostra comunità.

Cittá della Pieve, 10 novembre 2015

Rino Giuliacci