IL PRIMO RETTORE DEL SANTUARIO MONS. LUIGI PERRICCIOLI

IL PRIMO RETTORE DEL SANTUARIO

MONS. LUIGI PERRICCIOLI

Il primo rettore del Santuario della Madonna di Fatima di Cittá della Pieve é stato Mons. Luigi Perriccioli. Illuminato da una grandissima fede mariana a lui si deve l’istituzione di questo Santuario. Di seguito una sua breve scheda biografica.

Nato a Viterbo il 27 luglio 1901. Ha studiato nel seminario diocesano di Città della Pieve.
Ordinato prete a Città della Pieve il 19 marzo 1935. Assistente Ecclesiastico Gioventù Maschile di Azione Cattolica; Presidente Giunta Diocesana di Azione Cattolica; Delegato Vescovile dell’Azione Cattolica. Direttore Spirituale in seminario.
Rettore del Santuario della Madonna di Fatima dal 24 luglio 1948 al 1957. Direttore dell’Orfanotrofio Maschile.
Canonicato dei “Santi Apostoli Pietro e Paolo” della Chiesa Cattedrale di Città della Pieve, con bolla vescovile del 1 aprile 1933.
Onorificenza: Croce “Pro Ecclesia et Pontifice” del 1943. Cameriere Segreto soprannumerario di Sua Santità, nell’ottobre 1946.
Morto a Viterbo il 22 marzo 1965. Tumulato nel cimitero di Viterbo.

Nel libro di Claudia Lucci “Sulle strade di Fatima, la storia del primo Santuario Italiano” edito nel 2001, Mons. Luigi Perriccioli viene tratteggiato sia sotto l’aspetto umano che religioso. Di seguito degli estratti dal libro.

Allora, punto di partenza del nostro racconto, sarà il 1935, anno in cui Don Luigi ricevette, per mano di Monsignor Angelucci, la consacrazione sacerdotale; e proprio tra le mura di quella chiesa che ne avrebbe vista plasmata la missione spirituale e caritatevole.
Pratico, intelligente, proteso nel futuro, Don Luigi non faticò molto ad instaurare un rapporto sinergico con i pievesi, specie le “giovani leve” stimolate dal suo modo di affrontare la quotidianità, dal suo modo di motivare il proprio “Sì” a Cristo. “Tutto a disposizione di tutti”, il senso della sua missione apostolica. Lo testimoniano coloro che da Don Luigi appresero, non solo l’importanza dello studio e della formazione professionale, ma i valori stessi della condivisione e dell’aiuto reciproco, in un periodo storico non certo tra i più facili.
Gente comune che collaborò a gran parte delle attività avviate all’interno dell’ex convento di S. Francesco, divenuto, ben presto, il centro propulsivo della vita del Santuario.
Primo obiettivo, la ristrutturazione di quell’edificio di culto “che circa l’anno 1280, i nostri Padri -francescani, s’intende – acquistarono dai Monaci Benedettini”. Ma siamo ancora lontani dal progetto di un Santuario polifunzionale, e così, inizialmente, l’operoso Perriccioli convoglia le proprie energie fisiche e mentali sull’attività dell’Azione Cattolica, la cui Direzione e Presidenza Diocesane, avevano sede all’interno dell’ex convento.
Con esse anche l’Associazione interparrocchiale della Gioventù, le scuole di catechismo e l’Oratorio Festivo. Una fitta rete di canali concepita per fornire risposte, e concreto sostegno, a quelle generazioni ancora prive di formazione: spirituale, culturale, professionale. E se le scuole di Catechismo potevano contare fino a 300 alunni, non meno significativa era la partecipazione dei ragazzi a quanto di ricreativo nascesse tra le mura di quella chiesa. Contagiati dalla passione teatrale di Don Luigi, tutti – timidi e scaltri – contribuivano, al meglio delle proprie capacità, all’allestimento di qualsiasi spettacolo il suo prolifico ingegno concepisse; e chi non se la sentiva di calcare le scene, poteva tranquillamente rifugiarsi dietro le quinte. Nessuna forzatura, del resto, veniva imposta ai “membri della compagnia”, i cui ruoli finivano per riflettere le loro reali attitudini. Nell’ottica ricreativa rientravano anche un cinema a passo ridotto, quale desiderato premio per gli alunni del catechismo, una decorosa sala di ritrovo con tanto di bigliardo e tennis da tavolo e, per i piccoli fruitori dell’Oratorio festivo, una giostra metallica e numerosi giochi da cortile. Un aspetto, quello ludico, che non pregiudicava affatto le attività a carattere spirituale.
Le iniziative – dalle giornate di preghiera e di studio, alla confessione settimanale dei giovani, ai “ritiri per i fanciulli della Prima Comunione” – si sviluppavano tutte all’interno di quell’antico Oratorio. Merito, crediamo noi, della comunicativa di questo prete di provincia e del suo inossidabile entusiasmo in grado di convogliare, attorno a quest’insieme di attività, un clima di simpatia… e di aiuti. Specie all’indomani di quel Laboratorio “Divina Provvidenza”, alla cui nascita Don Luigi lavorava da tempo. Siamo nel 1939, in piena autarchia e prossimi alla guerra.
In questo clima, dalle prospettive tutt’altro che certe, s’inaugurava l’opera formativo – professionale voluta da Perriccioli; autentica chance post-scolastica per quei giovani di modesta estrazione sociale, destinati ad ingrossare la schiera dei cosiddetti “terrazzieri”, ovvero dei “periodicamente disoccupati”. Ma con il Laboratorio i giovani pievesi avrebbero potuto, d’ora in poi, “guadagnarsi il pane decorosamente”, poiché addestrati ad un’arte o mestiere. Disegno, musica, liturgia, storia dell’arte, tecnologia, le materie impartite loro, in un mix teorico-pratico che tanto piaceva al prete viterbese. L’artigiano tipo, doveva non solo acquisire abilità manuali e conoscenze tecniche relativamente ad una certa tipologia di mestieri – falegname, calzolaio, legatore – ma apprendere anche i rudimenti, o comunque le basi, della musica.
Nella mente di Monsignor Angelucci, l’allora Vescovo della diocesi, c’era infatti il desiderio di veder costituito, con il coinvolgimento dell’Azione Cattolica, un gruppo di giovani cantori.
E siccome tra quest’ultima ed il Laboratorio esisteva, in termini di risorse umane, una stretta correlazione il “coro” prese vita grazie alla disponibilità di buona parte degli apprendisti artigiani.
Impegnati a lavorare, cantare, e persino suonare, come ricorda Bruno Bricca, uno degli allievi del Laboratorio, incline, più di altri, all’apprendimento della musica e per ciò dirottato verso lo studio dell’armonium. Ed era questo iper-attivismo a sfiorare le corde della sensibilità, garantendo, all’Opera, sopravvivenza e sviluppo.

Persino all’indomani di quel tragico 10 giugno 1940, giorno in cui l’Italia dichiarò guerra a Francia e Gran Bretagna. L’inizio di un lento, inesorabile declino: politico, economico e militare.
Non declinarono, invece, le idee liberali e democratiche, i principi cristiani di carità, giustizia, aborrimento della violenza, di pace fra gli individui e i popoli, né manco mai l’azione di approvvigionamento e di soccorso alla popolazione. Cui prese parte, con continuità, la stessa Chiesa pievese che ebbe, in Don Luigi, un infaticabile maratoneta.
Si legge nelle sue note: “La guerra! Partono i giovani ed altri problemi si aggiungono a quelli già gravi per la continuità dell’opera iniziata. Assistenza morale ed economica ai militari e alle famiglie (è in questo periodo che Perriccioli perde l’abitudine del sonno per comunicare, via epistola, con i giovani impegnati al fronte), assistenza ai poveri e agli sfollati, con la minestra calda ogni giorno e l’inesauribile armadio degli indumenti; il pugno di farina o di legumi, il pane, la vecchia maglia di lana”. Tutto ciò giunge “al momento opportuno, dai piccoli, preziosi rivoli della carità, defluendo poi per la stessa via”. Quei rivoli, quella Provvidenza, in cui tanto confidava Don Luigi ed alla quale rispondeva con altrettanta generosità; come nel 1941, quando accolse, tra le mura dell’ex convento francescano, tre fratellini orfani. Pochi ambienti, sistemati secondo le possibilità del momento, che avrebbero segnato la nascita di quel Piccolo Rifugio Maria Immacolata – poi Opera Salviamo il Fanciullo – destinato a garantire, ai piccoli diseredati, opportuna preparazione professionale e una conveniente istruzione civile e religiosa.
Il tutto, in un’ottica di consacrazione mariana ben radicata nella vita parrocchiale; ancor prima, dunque, che il nuovo Messaggio trovasse in essa un centro di diffusione.
Ma siamo a ridosso del 1942, l’anno dell’avvicinamento a Fatima. Don Luigi, ormai gravato dagli eventi, legge il libro di Don Moresco e scopre, in quella storia, una risposta concreta alle proprie ansietà e alle crescenti esigenze dell’Opera: il culto all’Immacolato Cuore di Maria sarebbe divenuto lo “spirito illuminatore e sostenitore” di tutte le attività intraprese. E Città della Pieve un centro per la diffusione del nuovo Messaggio di Misericordia. Nulla avrebbe potuto far recedere Don Luigi, persuaso inoltre che quella serie concomitante di ricorrenze tutte legate al 13 maggio ’42 – venticinquesimo anniversario delle apparizioni e della consacrazione episcopale di Monsignor Pacelli, 50° di sacerdozio di Monsignor Angelucci e 75° di fondazione della Gioventù di A.C. – fosse un chiaro segnale ammonitorio. Un invito ad intraprendere, umilmente ed operosamente, il nuovo cammino devozionale e di lavoro”.

Fu proprio nel 1942 che Don Perriccioli decise di ordinare una statua della Madonna di Fatima. Il primo passo verso l’istituzione del Santuario era stato fatto. Potete leggere tutta la storia dell’arrivo della statua della Madonna di Fatima QUI.

Processione in città della statua di Madonna di Fatima in CdP. Ottobre 1946

E, passata la guerra, arriviamo al 1946, anno in cui si decise di portare la statua della Madonna di Fatima a Roma per farla benedire. Un altro passo fondamentale verso l’istituzione del Santuario. Potete leggere tutta la storia della benedizione della statua della Madonna di Fatima QUI.

Riprendiamo ancora dalle pagine del libro di Claudia Lucci “Sulle strade di Fatima, la storia del primo Santuario Italiano” edito nel 2001.

“Lo stesso Pio XII, in quell’ottobre del ’46, non si era limitato a benedire il Simulacro scortato, dai pievesi, sin dentro Castel Gandolfo. Aveva fatto di più, parlando con compiacimento della formazione sociale e spirituale sorta all’ombra del Santuario. Perché Perriccioli riteneva che non vi fosse nulla di maggiormente rispondente al richiamo di Maria, dell’istruzione religiosa – specie tra le famiglie rurali -, dei ritiri spirituali, della “Crociata” del S. Rosario, delle piccole
“missioni” tra la gente per illustrare le apparizioni.
E che dire, poi, dell’Opera “Salviamo il Fanciullo”, o dell’aiuto caritatevole ai bisognosi? Per lui – Don Luigi – tutto ciò rientrava nell’ordine logico del Vangelo:…cercate prima il Regno di Dio e la Sua Giustizia. Per questo era convinto che quanti fossero stati richiamati, ai piedi della Vergine, dalla pietà o dal bisogno di grazie, avrebbero finito per trovarsi a tu per tu con quelle opere di Fede, ricevendone conforto e viceversa. Con questa idea, Perriccioli si rimboccò nuovamente le maniche e riprese di buona lena il proprio cammino sulla strada della carità; sostenuto, magari, da quella nomina a Rettore perpetuo del Santuario, che da lì a poco sarebbe arrivata.
Ma fu proprio quel “domani” che tanto desiderava battere d’anticipo, ad avere la meglio sulla sua voglia di fare. I suoi ultimi anni di permanenza a Città della Pieve, tra le mura di quel Santuario sul quale aveva riversato tutte le proprie energie, furono infatti segnati dalla malattia: il diabete. E, di conseguenza, dall’incapacità di svolgere l’incarico di rettore con lo slancio e la lucidità dei primi tempi; tanto che nel settembre del ’57, l’autorità ecclesiastica ritenne opportuno sollevarlo da quell’onere. Nuova destinazione, Viterbo, sua città natale. Don Luigi, o sarebbe più giusto dire Monsignor Perriccioli, se ne andava dunque da Città della Pieve con il rammarico, forse, di essere rimasto troppo a lungo in vista del traguardo, senza mai raggiungerlo. Ma anche con la consapevolezza di essersi lasciato alle spalle una grande eredità spirituale: il Santuario.
Nessun’altro, dopo di lui, avrebbe ripreso la “corsa”. La sua, invece, si sarebbe conclusa per sempre il 22 marzo 1965.”

Per approfondire la conoscenza del pensiero e dell’opera di Don Luigi Perriccioli, relativamente all’Oratorio di San Bartolomeo, cliccare QUI.

Questo quanto ci è stato possibile recuperare dai libri e dagli scritti disponibili. Ma pensiamo che un valore aggiunto possa derivare soprattutto dalle testimonianze delle persone che Mons. Luigi Perriccioli lo hanno conosciuto di persona. Di seguito ecco quella resa dal Sig. Rino Giuliacci.