STORIA DEL SANTUARIO DELLA MADONNA DI FATIMA

Seppure sia molto difficile stabilire con certezza un anno di origine, la storia del complesso dove oggi sorge il Santuario della Madonna di Fatima é probabilmente millenaria. Questo è testimoniato dai vari scritti, documenti e reperti rinvenuti sul posto e negli archivi diocesani. Ci sono però periodi, anche molto lunghi, di cui mancano notizie ma, grazie anche al fattivo contributo della Prof.ssa Maria Luisa Meo e del Sig. Massimo Neri, si è riusciti a ricostruire con una buona approssimazione quella che é stata la storia del complesso sino ai nostri giorni.

Il complesso di edifici ove attualmente é situato il Santuario della Madonna di Fatima ricomprende, oltre al Santuario stesso, anche il campanile e l’adiacente Oratorio di San Bartolomeo.

Le origini risalgono alla diffusione del monachesimo nel Medio Evo. A Castel della Pieve (nome originario di Città della Pieve), nel corso del 1200, a ridosso della cinta muraria si insediarono gli Ordini mendicanti. Fuori Porta del Prato o Perugina si stabilirono i Francescani conventuali e le Clarisse, fuori Porta Fiorentina gli Agostiniani e fuori Porta del Vecciano i Servi di Maria.

Nel giugno 1284 Papa Martino IV, andando da Orvieto a Perugia, si fermò a Castel della Pieve dove si ammalò. Fu costretto a rimanervi per un paio di mesi prima di recarsi a Perugia dove morì. Fu proprio il Papa a concedere terre e chiese agli Ordini e a definirne il ruolo. Così dette ai Francescani la chiesa di San Bartolomeo e il convento annesso e concedette alle suore Clarisse la chiesa e il convento di Santa Lucia al Prato, entrambi appartenenti ai benedettini dell’Abbazia di Farneta. Anche i Servi di Maria ottennero un luogo con chiesa e convento tolto ai monaci di Farneta. Gli Agostiniani si trasferirono da un primo insediamento posto nella strada di Piegaro e si stabilirono nella parte a nord del castello.

I monaci si richiamavano ad una vita austera e semplice, vivevano in comunità e nella rinuncia dei beni, avevano un rapporto stretto con la popolazione. Predicavano una vita di santità, mendicavano e curavano le anime.

Non sottoposti all’autorità vescovile, in quanto seguaci della loro regola e dei loro ordinamenti interni, i monaci stabilirono invece relazioni importanti con le magistrature pubbliche dell’età comunale. Si determinarono forme di collaborazione importanti e i frati divennero una presenza significativa anche nella sfera pubblica e politica.

Il 14 ottobre 1313 al rinnovo della lega tra Perugia e Orvieto assistettero come testimoni sei frati dell’Ordine dei Minori, sei degli Eremiti di Sant’Agostino e sei dei Servi di Santa Maria.

Per quanto concerne i Francescani, essi riedificarono la chiesa di San Bartolomeo e la intitolarono a San Francesco. Avevano uno stretto legame con le autorità pubbliche e conservavano il bossolo, cioè il contenitore da cui venivano estratti i nomi dei Priori e di altri ufficiali.

Il 25 settembre 1600 fu eretta la Diocesi di Città della Pieve con la bolla In supereminenti di Papa Clemente VIII. Nel novembre del 1600 Mons. Anselmo Dandini fu inviato come visitatore e commissario apostolico per analizzare la situazione e orientare i cambiamenti opportuni.

Dopo la sua relazione il pontefice emanò la bolla Super Universas del 9 novembre 1601 come completamento della precedente.

Nel manoscritto della relazione, conservato presso l’Archivio Storico Diocesano di Città della Pieve, Mons. Dandini descrive le chiese dei monaci regolari. Oltre a dare indicazioni su miglioramenti da apportare, il documento fornisce informazioni sugli interni delle chiese.

A proposito della chiesa di San Francesco vengono indicate alcune azioni riguardanti:

C’è inoltre un riferimento al Sacrario.

Con la fine dello Stato Pontificio e il passaggio al Regno d’Italia si determinarono cambiamenti importanti. Il commissario Pepoli, già con atto del 12 dicembre 1860, dichiarò la soppressione di molti istituti religiosi. I beni delle famiglie religiose vennero incamerati dal Demanio dello Stato e il Governo fu autorizzato ad alienarli ai Comuni tramite trattativa privata.

Il 22 luglio 1861, il Consiglio Comunale di Città della Pieve votò per l’esclusione delle famiglie religiose dei Padri Conventuali, i Servi di Maria e gli Agostiniani.

Gli spazi conventuali furono subito utilizzati per scopi di pubblica utilità. Il convento di Santa Maria dei Servi fu usato come caserma militare in occasione del passaggio di truppe; l’ex-convento di Sant’Agostino accolse le Scuole Tecniche e l’Asilo Infantile; l’ex-convento di San Francesco, ceduto dal Comune alla Congregazione di Carità, fu adibito a ricovero di poveri e anziani senza mezzi.

Nel 1868 le chiese dei soppressi ordini degli Agostiniani, dei Francescani e dei Serviti vennero riaperte al culto con tre rettori, rispettivamente Don Angelo Giappesi a Sant’Agostino, Don Giuseppe Bolletti a San Francesco e Don Alfonso Brizi a Santa Maria.

Entrata alla ex Chiesa di San Francesco, primi del ‘900.

Nel 1903 la Congregazione iniziò una trattativa privata con Mons. Prospero Scaccia, Vescovo di Tivoli, per vendere una parte dell’edificio di San Francesco. Dopo una netta opposizione della Giunta e del Consiglio, la trattativa decadde in una rinuncia. Nel 1912, poi, il fabbricato fu acquistato da Don Giuseppe Bigi, Don Luigi Cecchini e Mons. Valerio Valeri.

All’inizio del XX secolo il Vescovo, mons. Tacci, progettò e realizzò molte opere per la chiesa di San Francesco. Innanzitutto fece restaurare il tetto, imbiancare le pareti, costruire i finestroni e rifare il pulpito. Curò gli arredi e le parature per gli addobbi riprendendo i damaschi per le colonne che, dopo l’allontanamento dei religiosi, erano stati dati in deposito alla Confraternita di Santa Maria dei Bianchi. Negli stessi anni furono fatti i lampadari in ferro, furono rinnovate le panche dei proprietari e vennero acquistate le statue di San Giuseppe e dell’Immacolata.

Mons. Tacci iniziò anche le celebrazioni del mese dedicato a San Giuseppe, le predicazioni durante la novena dell’Immacolata e nel mese del Sacro Cuore.

In quel tempo Luigi Cecchini, non ancora sacerdote, fu nominato custode della chiesa, che nel 1912 fu riscattata.

Nel 1914 il Vescovo, mons. Giuseppe Angelucci, emanò un decreto con cui venne eretta l’Associazione del SS. Sacramento, aggregata all’Arciconfraternita di Roma.

Poi ci fu la fase della prima guerra mondiale e il canonico Cecchini fu chiamato alle armi. Nel 1921 Don Luigi Cecchini fu nominato Rettore della chiesa di San Francesco e il 3 aprile, nella chiesa di Santa Maria dei Bianchi, il vescovo Angelucci benedisse la statua del Sacro Cuore di Gesù che fu portata processionalmente a San Francesco. Da allora iniziarono le celebrazioni del Sacro Cuore con predicazioni e tridui di preghiera.

Molte altre celebrazioni rituali ebbero luogo nel corso degli anni Venti e Trenta: festeggiamenti francescani, celebrazioni per Sant’Antonio da Padova e per San Giovanni Bosco. Nel corso degli anni Trenta, l’Azione Cattolica fu attiva nell’organizzazione delle ritualità di preghiera. In particolare nel 1936 la Gioventù Maschile dell’Azione Cattolica promosse un triduo solenne nei giorni 8-9-10 giugno. L’11 giugno, giorno del Corpus Domini, ci fu una solenne Messa al mattino e un’ora di adorazione alla sera. Il 14 giugno il Dott. Mario Cingolani tenne una conferenza alle ore 12 e un’altra alla sera, nella sede della Gioventù Maschile di Azione Cattolica.

Per quanto riguarda la sua struttura architettonica, il complesso comprendente la chiesa, durante la sua lunga storia, ha subito distruzioni, rifacimenti ed ampliamenti. Una profonda ristrutturazione della chiesa ebbe luogo nella seconda metà del ‘700 a seguito del terremoto avvenuto nell’anno 1776*. Il campanile, realizzato probabilmente attorno al 1600, fu anch’esso sottoposto nello stesso anno a ristrutturazione su progetto dell’architetto Andrea Vici. La visita pastorale di Mons. Mancini del 1777, riferisce che la chiesa era in fase di rimodernamento non ancora concluso.

A seguito degli svariati rifacimenti, dell’originaria chiesa in stile romanico è giunta sino ai giorni nostri solo la facciata inferiore in laterizi. Nella stessa facciata sono state ricavate tre arcate con al centro il portone di ingresso. All’interno sono presenti sei altari in stile settecentesco e svariati affreschi e statue oltre alla statua in legno della Madonna di Fatima. I capitelli delle colonne da cui si dipartono gli archi delle volte sono decorati a fogliame.
È presente un organo a canne, sottoposto a restauro e perfettamente funzionante e un coro in legno situato dietro all’altare.

Per un approfondimento di alcuni aspetti sin adesso trattati vi invitiamo a leggere quanto scritto, con estrema dovizia di particolari, da Mons. Fiorenzo Canuti nel suo libro “Nella patria del Perugino” scritto nel 1926. Di seguito un estratto del libro.

Entrata della ex Chiesa di San Francesco in una vecchissima foto. Non vi era ancora il monumento.

Convento e Chiesa di S. Francesco.

Al ridestarsi della fede, nel secolo XIII, per effetto della nuova luce di amore e di santità venuta dal Serafico Oriente, si iniziò subito un’attività febbrile di sacre costruzioni, una vera gioia di templi e di Monasteri. Perugia, Siena, Orvieto, Arezzo, Cortona, Assisi, Montefalco, Gubbio, Montepulciano, Montalcino, Asciano, per parlare delle Città a noi più vicine, al primo propagarsi dello spirito francescano, innalzarono il loro tempio e il loro convento, all’ombra del quale si raccolsero i primi figli del grande Santo di Assisi. E quel tempio, splendido per linee slanciate di sesto acuto, diventò ben presto anche il bene augurato asilo dell’arte.
Castel della Pieve non fu l’ultima ad ospitare il primo, benchè piccolo stuolo dei seguaci del Poverello. Se altre memorie mancassero basterebbe il fatto, che nel 1250 esisteva già un Convento di Monache Clarisse, per credere che queste fossero state precedute dalla venuta dei Religiosi del Primo Ordine. Confermano poi questa ipotesi i resti della facciata della Chiesa primitiva, che sono dello stile così detto romanico, che durò fino alla metà del secolo XIII. A voler credere alle memorie, scritte nel ‘500 da Silvio Riccoboni e riferite dal Bolletti nella sua Appendice, i Frati di San Francesco ebbero in dono il Monistero de S. Bettoco la chiesa di San Batromeio, come diceveno l’antiche. Le memorie. che una volta esistevano in Convento, riferite dal Papini nella sua Etruria Francescana, ci fanno inoltre conoscere “che circa l’anno 1280, i nostri Padri acquistarono dai Monaci Benedettini un oratorio, una casetta e una porzione di terreno, in cui fabbricarono il presente convento con spaziosa chiesa. L’oratorio che sarebbe stato acquistato dai Francescani era dedicato da epoca remotissima a S. Bartolomeo Apostolo, e questo titolo conservò per molti secoli, come ne fanno fede i documenti, anche dopo che i Padri Francescani n’ebbero ottenuto il possesso. Il Padre Sbaraglia nel suo Bullarium Francescanus riporta che il 18 ottobre 1290, Nicolò IV, scrivendo da Orvieto, concede un’indulgenza a chi devotamente visiterà la detta chiesa in alcune festività dell’anno, e negli otto giorni che seguono le stesse festività. E tale concessione, riferita dallo Sbaraglia, ci dà l’assicurazione che, se i lavori erano terminati nel 1290, si era dovuto impiegare molto tempo per tirarli avanti.
Non conosciamo la forma della Chiesa primitiva, perchè, ad eccezione della facciata, tutta fu distrutta nel 1776*. È probabile fosse costruita in parte sullo stile gotico ed in parte su quello romanico; che avesse una sola navata con volta a travatura, e che fosse ricca di pregevoli ed antichi dipinti, come anche il P. Franchini affermava nel 1699. Aveva due porte, una a levante e l’altra a ponente, e questa con un portichetto coperto di volta.
La nuova Chiesa, incominciata verso la metà del settecento, non era ancora compiuta nel 1777, e si erano spesi oltre 10.000 scudi. È assai elegante ed ampia, e certamente tra tutte le chiese, che in quel secolo furono in parte o in tutto rinnovate, è la più bella, la più spaziosa e la più illuminata. Ma ciò che di più interessante rimane, degna di ammirazione, è la primitiva facciata, la quale non ha variato il suo aspetto romanico, ad eccezione della chiusura del rosone, e della bifora, o trifora che fosse, al disotto. Il campanile fu costruito, o forse ricostruito, nel 1600, come si legge in un mattone che è nella parete esterna verso ponente.
Le Campane hanno le seguenti iscrizioni :
I.
* MENTEM. SANCTAM. SPONTANEAM. HONOREM. DEO
(la grossa) ET. PATRIE. LIBERATIONEM.
II.
FR.. BARTOLOMEO. D. F.RO. LACOLO. ANTONIO.
SUO. NEPOTE . PAGO. DUCATI . DIECI. LEONARDUS .
MAGISTRI. CORI. DE CHIANCIANO. ME. FECIT.
ANNO DOMINI. M. D. XXX. I.
SIGNASTI. DOMINE, SERVUM. TUUM. FRANCISCUM .
(la mezzana) SIGNIS REDENTIONIS.
III.
NOSTRE . A. D., MDCCXIV.
UT SANTISS. TRIAS. TRINITATE. HONORETUR. ME.
(la piccola) TERTIAM.
FORMARUNT. PER. IO. BAPTISTAM. CRESCUM. OPIFICEM
NEAP.. A. D. M. D. C. XXXVII.
SAH. F. T.

Muro in laterizio, risalente alla metá del 1200, facente parte dell’originario convento costruito dai frati francescani.

Il Convento.
Se i Religiosi Benedettini ebbero questo luogo prima dei Francescani, del loro convento non rimangono tracce. Del primo convento francescano invece, costruito nella metà del Milleduecento, rimane in piedi tuttora un muro dalla parte di ponente dentro il chiostro, ed un altro dalla parte di levante. Ed in questi muri, costruiti in laterizio, rimangono ancora piccolissime finestre ad arco pieno, e nella parte inferiore una successione di archi a stile gotico, bene sviluppati. Le finestre piccolissime, conforme voleva la regola francescana del primitivo rigore, corrispondevano ad altrettante piccole celle,
per l’abitazione dei Frati. Gli archi sottostanti, che ora si presentano chiusi, costituivano un portico che girava anche nelle altre tre parti del fabbricato, ora scomparse, formando il quadrato del primo chiostro francescano.
Giudicando da questi avanzi di fabbrica, il primo convento doveva essere di ben modeste proporzioni; ciò che però non vuol dire che fosse abitato da pochi individui, sapendosi come, in quei tempi di rigida osservanza, i religiosi si accontentassero di locali piccoli e semplici. Ma in seguito, affievolitosi lo spirito, resa più facile l’osservanza della regola, si cercò anche nell’abitazione una maggiore comodità; e forse anche, cresciuto il numero dei Frati, si sentì il bisogno di amplificarla. Nel secolo XV, distrutti tre lati della prima fabbrica, si prolungò notevolmente il quarto, e si fecero di nuovo le altre tre parti di maggiore ampiezza e lunghezza, tali da poter formare un nuovo portico ed un ampio cortile che tuttora si vede.
Esaminando attentamente l’edificio attuale, è possibile distinguere le parti vecchie da quelle aggiunte posteriormente. La fabbrica quattrocentesca si riconosce subito dalle finestre di media grandezza, di forma arcuata e a pieno centro. Nel secolo scorso, e cioè nel 1845, i Religiosi Conventuali, che possedettero sempre questo luogo, avevano in animo di rinnovare tutta quanta la fabbrica, in quel modo che avevano rinnovata la chiesa, nel secolo precedente; ed iniziarono infatti l’esecuzione di un grande progetto su linee più eleganti e più moderne, come è a vedersi nella parte attigua alla Chiesa. Ma i rivolgimenti politici, che poi ebbero il loro epilogo nella soppressione del Convento, impedirono che il progetto fosse portato avanti e condotto a compimento. Così i Frati, nel 1860, abbandonarono questo luogo, dove erano rimasti per quasi sei secoli indisturbati; ed i locali furono dati alla Congregazione di Carità, che li tenne fino al 1904, in cui di nuovo furono ceduti ad alcuni Ecclesiastici.
Lo stabile è in poco buone condizioni, e fino dal 1790, come si legge in un mattone del muro, furono dalla parte di levante gittati numerosi e solidi speroni, per tenere il muro in piedi da quella parte. La Comunità dei Minori Conventuali di Città della Pieve, in origine faceva parte della Provincia Toscana, ma, con Decreto del 24 aprile 1789, ne fu distaccata ed aggregata a quella dell’Umbria.

La crocifissione, detto anche “il pianto degli angeli”

L’Oratorio di S. Bartolomeo.
Prossimo alla chiesa di S. Francesco è l’antichissimo Oratorio di S. Bartolomeo già esistente quando i francescani ebbero dai Padri Benedettini il luogo dove sorse poi il Convento e la Chiesa di S. Francesco. In origine era pubblico Oratorio, dove è fama che, nel 1257 S.Bonaventura abbia tenuto un congresso di saggi e dotti religiosi, per giudicare della dottrina del Beato Giovanni da Parma, ex Generale dell’Ordine, accusato di eresia. Gli storici paesani hanno poi raccolta la tradizione, che in questo Oratorio, nel 1270, fu tenuto un Capitolo Generale dell’Ordine. Si sa di più che in esso S. Bonaventura pronunziò un eloquente sermone sulla Eucaristia, conservatoci, insieme con gli altri discorsi, dal suo compagno Fra Marco da Montefeltro, e che può leggersi nel manoscritto dello stesso Fra Marco all’Ambrosiana di Milano. Il sermone è alla Domenica “Laetare Jerusalem,, ” Sermo fratris Bonaventurae apud Castrum Plebis,. Registriamo ancora che, circa l’anno 1426, S. Bernardino da Siena, in una delle sue fruttuose peregrinazioni, fermatosi in Castel della Pieve per promuovervi l’esercizio della carità verso i poverelli, istituì in questo Oratorio la Confraternita della Misericordia, la quale vi rimase fino all’anno 1567. In processo di tempo l’Oratorio si trasformò in refettorio dei Frati; poi, in seguito, ridotto in cattive condizioni, fu adibito per magazzino e quasi abbandonato. In tempi a noi più recenti, in questo locale, che conservava sì belle tradizioni, fu depositato legname e calce.
Eppure esso ha un’importanza eccezionale, per il bellissimo ed interessante affresco della “Crocifissione di Gesù volgarmente detto il “Pianto degli Angeli” , per il numeroso stuolo di spiriti celesti che fanno corona alla figura del Redentore morente e sono in atteggiamento di pianto e di preghiera. È da ritenersi che tutto l’Oratorio fosse stato dipinto, come era uso del tempo; ma di queste pitture oggi non rimane più traccia perchè è stato rifatto l’intonaco. La parete dipinta misura sette metri di lunghezza e nove di altezza. Domina nel centro il Redentore pendente dal legno, col volto reclinato sulla destra, con espressione vivissima e soffuso del pallore di morte. La croce grande, conficcata a terra, sorretta nel contrasto di più zeppe alla base; i piedi poggianti sopra una tavoletta, fissa a metà del tronco; al di sopra il mistico pellicano, che simboleggia l’infinita carità del Salvatore dar la vita ai suoi nati; sei angeli da una parte, sei dall’altra circondano il Redentore Crocifisso e piangono l’atroce morte del Giusto. Sono disposti a due per due simmetricamente, come voleva la maniera del tempo. In quei volti atteggiati a devota contemplazione, lo scoramento e la pietà è indicibile; e pare che parlino e dicano cose ineffabili e sovrumane, di amore e di dolore insieme. Le forme agili, con tuniche lunghe, svariate, svolazzanti, che vaniscono all’estremità in leggerissima ed impercettibile nube; e le grandi ali aperte, a forma di rondine, sottili, variopinte, completano il magnifico quadro, e rendono più attraente e maestoso l’insieme. Immediatamente sotto: quattro figure con aureole, posate sopra le nubi multiformi, che col dito della destra indicano il Redentore e con la sinistra sostengono una cartella bianca, dove sono leggende in caratteri gotici. Sono essi due Profeti e due Evangelisti, che danno il bellissimo e indovinato contrapposto del Vecchio e del Nuovo Testamento. I primi dicono che il Messia verrà, e dopo settantadue settimane di anni, per i nostri peccati e le nostre scelleraggini, sarà flagellato, ucciso, e tutti i popoli della terra crederanno in lui. I secondi annunziano che il Messia è venuto, che i Giudei lo hanno crocifisso, che i soldati si son divisi le sue vestimenta, sorteggiandole, e che è tutto compiuto, perchè il Cristo ha esalato dalla Croce l’ultimo respiro. In basso sei figure di grandezza più del naturale poste in linea, delle quali, lì presso alla croce : la ” Vergine Addolorata ” e “l’Apostolo prediletto”. L’atteggiamento e l’espressione del volto dicono tutto io strazio dell’anima, ma sono le due sole figure che mostrano di avere una qualche attinenza con l’idea dominante del quadro; le altre quattro stanno li per semplice decorazione e devozione. S. Francesco, che si riconosce dalle Stimmate, in atto di estatica contemplazione; l’altra figura, dopo quella di S. Francesco è S. Ludovico, Vescovo di Tolosa. Dall’altra parte un S. Bartolomeo, titolare dell’Oratorio, con un coltello, istrumento del suo martirio. L’ultima figura è S. Antonio di Padova, che è uno dei santi più cari e più celebrati in tutte le epoche. Il quadro ha sofferto le ingiurie del tempo. È sparito infatti il fondo di oltremare ed è rimasto il verde e il paonazzetto che servirono di preparazione all’azzurro. I caratteri di questo affresco che è una delle cose più interessanti che esista in Città della Pieve, per la grandiosità della composizione, genialità ed elevatezza del concetto, sono quelli propri dell’arte del trecento, in cui, se predomina l’espressione del sentimento, riesce difettosa la forma e scadente il colorito. Ora confrontando questo dipinto con quelli che si ammirano nella Chiesa di S. Francesco di Asciano, si scorge tra questo e quelli una grande affinità, da dirli quasi usciti da una medesima mano. A questo quadro si riferiva forse una memoria rinvenuta dal P. Franchini, m. c. in cui è detto che nel Refettorio, eravi una pittura del 1384, dove si vedeva la figura del P. S. Francesco, ed altri suoi frati e non di Monaco alcuno. Ciò posto, poichè i caratteri sono quelli della scuola senese e particolarmente della scuola del Barna, abbiamo la convinzione che l’autore del quadro sia quel Nicola di Bonifazio Senese, che verso la fine del 1300, prese dimora in Castel della Pieve e vi rimase per tutta la vita. Fu questi coetaneo e forse compagno di Giovanni d’Asciano, l’autore dei dipinti di S. Francesco d’Asciano, ed entrambi allievi di quel Barna, che lasciò pregevoli affreschi nella Collegiata di S. Giminiano.
Recentemente, dal deplorevole stato in cui si trovava da più di due secoli, l’Oratorio di S. Bartolomeo è stato liberato per le solerti cure dell’Autorità Ecclesiastica, ritornata in possesso della Chiesa e dell’annesso Convento. Ma quel locale, pieno di tanti ricordi, così importante per il prezioso affresco che l’adorna, meriterebbe di essere tenuto in maggiore considerazione dalla Direzione delle BB. AA., la quale dovrebbe inoltre subito provvedere al restauro del dipinto, che va pur troppo ogni giorno più deperendo, per l’azione distruttrice del tempo.

Sino a qui i cenni storici afferenti la struttura della ex chiesa di San Francesco e la sua storia. Vediamo adesso il percorso che ha portato alla nascita del primo Santuario italiano dedicato alla Madonna di Fatima.

Potremmo dire che tutto ha avuto inizio il 19 marzo 1935 quando Don Luigi Perriccioli, viterbese di nascita, fu ordinato sacerdote da Mons. Angelucci proprio nell’allora chiesa di San Francesco, la chiesa che, proprio grazie alla sua opera spirituale e caritatevole, sarebbe divenuta Santuario della Madonna di Fatima.

Persona costantemente rivolta al futuro, di mentalità pratica e fautore dello spirito di solidarietà reciproca si prodigò per la comunità pievese affinché la gioventù del posto avesse uno spazio dove poter dare libero sfogo alle proprie inclinazioni professionali, artistiche e spirituali. Un centro di aggregazione e un’officina dei mestieri, questo divenne l’oratorio di San Bartolomeo, a tal scopo recuperato da anni di oblìo dopo l’allontanamento dei frati francescani che lo avevano abitato sino al 1860. 

Un’esperienza particolare, nata nel seno dell’Azione Cattolica, fu quella organizzata da Don Luigi Perriccioli negli anni Trenta. Essa definì un modello di cultura cattolica sociale vicina ai bisogni della popolazione. Già nel 1931, nei locali dell’ex-convento di San Francesco, Don Perriccioli riprese le attività dell’Azione Cattolica in forma nuova. L’edificio divenne sede dell’Ufficio Diocesano per la Direzione dell’Azione Cattolica, della Presidenza Diocesana della Gioventù di Azione Cattolica, dell’Associazione Interparrocchiale SS. Gervasio e Protasio, del Centro Catechistico Diocesano con scuole parrocchiali. Accanto agli uffici direzionali furono creati un teatro, un cinema a passo ridotto, un centro giochi attrezzato in cortile per l’oratorio festivo, una sala con biliardo e tennis-tavolo, una zona ristorante con caffè espresso. La cappella con l’affresco di scuola senese accoglieva le varie organizzazioni per ritiri mensili, preghiera e studio. Negli stessi ambienti si svolgeva il ritiro per la Prima Comunione. Si organizzavano inoltre celebrazioni liturgiche all’aperto, concerti e mostre tra cui una mostra annuale di fiori.

Nel 1939 fu inaugurato il laboratorio-scuola Divina Provvidenza per dare ai giovani di Città della Pieve l’avviamento a un’arte o mestiere. Il 4 aprile il Comune di Città della Pieve rilasciò l’autorizzazione per l’impianto di una falegnameria. Successivamente il signor Luigi di Marco vendette gli attrezzi e i materiali del suo laboratorio di Sant’Agostino. Oltre ad attività pratiche c’erano lezioni di Disegno, Storia dell’Arte, Tecnologia, Liturgia, Musica. Molti giovani, però, partirono per la guerra e subentrò la necessità di assistere moralmente ed economicamente militari, famiglie e sfollati. Il centro divenne allora un luogo di aiuto nel disagio generale. Nel 1941 le autorità pubbliche chiesero il ricovero di tre fratelli orfani e abbandonati. Così il 31 gennaio nacque il Piccolo Rifugio Maria Immacolata per gli Orfanelli diventato poi Opera Salviamo il Fanciullo.

Ma la guerra diede un duro colpo all’officina. I giovani partivano per il fronte e la priorità divenne quindi dare accoglienza ai fanciulli rimasti soli e in povertà dandogli istruzione e preparazione professionale: l’oratorio accolse il Rifugio Maria Immacolata che poi divenne l’Opera Salviamo il Fanciullo.

L’anno prima, il 16 ottobre 1940, dopo le 15.00, c’era stata una forte scossa di terremoto. La chiesa subì alcune lesioni e fu chiusa in forma precauzionale. Il 20 ottobre, dopo il sopralluogo del Genio Civile e dei tecnici del Comune, fu dichiarata nuovamente agibile.

Nel 1942, in piena guerra mondiale, Don Luigi rimase come folgorato dalla lettura del libro di Don Moresco, scritto a seguito di un viaggio fatto in Portogallo, nella terra benedetta dalle apparizioni. Improntare tutte le attività sino allora intraprese e tutte quelle future allo spirito illuminante e sostenitore del Cuore Immacolato di Maria. Fu così che il nuovo culto mariano, ardentemente propugnato da Don Luigi e rinsaldato nella fede da alcune ricorrenze di quell’anno che furono per lui ammonitorie, fece breccia nei cuori della gente pievese tanto che, nel maggio 1943, si espresse il desiderio di avere al paese una statua della Madonna cosi come apparsa in visione anni prima in quel di Fatima in Portogallo.

Si decise quindi di dare incarico a degli artisti falegnami di Ortisei, in Val Gardena, di realizzare una statua la più possibile somigliante all’immagine della Madonna così come descritta nelle testimonianze dei tre veggenti di Fatima. La statua avrebbe poi trovato collocazione nell’antico oratorio del “pianto degli angeli”. La descrizione degli eventi riguardanti l’arrivo della statua della Madonna a Città della Pieve è riportata fedelmente nelle cronache del Santuario e potete trovarla nella sezione dedicata alla Statua della Madonna. Quanto riportato nelle cronache del tempo, in un modo così spontaneo e sincero, fa da cornice ad un evento che, anche a non voler essere credenti, ha del miracoloso. Di seguito un estratto.

Prima foto scattata alla Statua della Madonna, al suo arrivo in Santuario.

“Quando avemmo notizia delle apparizioni di Fàtima subito, per grazia di Dio, sentimmo che trattavasi veramente di un messaggio di salvezza che riguardava l’intera Umanità.
Ogni nostra attività (Azione Cattolica – Scuola Catechistica – Oratorio – Orfanotrofio ecc.) era stata, fin dall’inizio, consacrata alla Madonna; ci parve doveroso, quindi, accogliere pronti il nuovo invito e creare un centro di diffusione del nuovo messaggio di misericordia. Col 25º delle apparizioni, ricorreva quello di Episcopato del S. Padre Pio XII; il 50° di sacerdozio del nostro Ecc.mo Vescovo Mons. Giuseppe Angelucci; il 75° di fondazione della Gioventù Italiana di17 A. C. La concomitanza delle date nella luce di Fàtima, ci confermò nel proposito; ci parve il modo migliore per manifestare il nostro amore al Papa, al Vescovo, alla cara Gioventù di A. C. Seguendo le indicazioni dei Veggenti, ordinammo una statua in legno da mettere in venerazione nel nostro Oratorio. E si attese ad organizzare solenni manifestazioni mariane per il settembre 1943.
Ma gli eventi precipitarono…! più aspra e a noi più vicina si fece la lotta!… Tentammo ogni mezzo per avere la statua ma invano. Dopo il bombardamento della Stazione di Bolzano (dove la statua doveva trovarsi giacente per l’inutile tentativo di spedizione) decidemmo di rimandare tutto a dopo la guerra, disposti ad ordinare altra statua; chè quella eseguita ritenevamo ormai perita nel bombardamento. Qui giova qualche particolare.
Nella ricerca affannosa di un qualche mezzo di trasporto, dopo sospese le spedizioni per ferrovia, il sacerdote direttore dell’Opera, si recò a Firenze e fece premura, presso persona che poteva avere qualche possibilità. «…Ci aiuti, ci aiuti a farci avere la Statua… la Madonna, vedrà, non sarà ingrata!… ». Fu risposto tra le lacrime: «Ho proprio bisogno di una grazia tanto grande…metterò tutto il mio impegno».
Bravo! ci faccia arrivare la statua e la grazia l’avrà!… ». una cambiale firmata per conto della Madonna…è vero, ma andò così!
Ancora. Nell’incrociarsi di telegrammi ed espressi per interpellare agenzie di trasporto, i giovani della Casa più volte, sorridendo, ebbero a dire…« Caro Don… se la Madonna non la portano gli angeli come a Loreto… lei non l’avrà! ». E ci si rassegnò!… restò però vivo il desiderio di fare qualche cosa per onorare, nello spirito di Fàtima, il Cuore Immacolato di Maria.
Alla fine del settembre 1943, decidemmo di far dipingere un quadro e metterlo in venerazione nella prossima ricorrenza del 13 ottobre.
Il primo sabato del mese di ottobre, verso le 10 del mattino, una nostra benefattrice, (
signora Nicola Pagliari) ci avverte emozionata: «E’ arrivata la Madonna!…Quale Madonna? »… (chi pensa più ormai alla statua?) ma, per il corridoio, due uomini recano una lunga cassa… Accorrono quanti sono in casa, la cassa è aperta… ci prostriamo e piangiamo…! La Madonna è venuta… la Madonna è venuta! Osserva un giovane: «ma oggi è il 2 ottobre, sono gli Angeli Custodi!… E’ vero! Primo sabato del mese di ottobre – due del mese festa degli Angeli Custodi!
Presi dal desiderio di sapere come la statua sia giunta, conosciamo altre circostanze, così bene ordinate che (senza voler vedere miracoli per forza) ci fanno necessariamente pensare alla mano della Provvidenza. La statua è arrivata per ferrovia: è stata spedita (documenta la bolletta di spedizione) il 1° ottobre alla stazione di Firenze ed è giunta a noi il 2 ottobre mattina. Con la guerra, i mitragliamenti, le spedizioni sospese, lo scalo ferroviario a circa 8 chilometri di distanza!… No, non l’hanno portata gli Angeli,
la Madonna, come dicevano i giovani, no! ma gli Angeli non sono la guida degli uomini?
Da Firenze riceviamo: Sapevo che la statua della Madonna era arrivata perchè la grazia che attendevo l’ho ricevuta »…. Grazia (poi conoscemmo) di ordine spirituale, segnalatissima. La caratteristica di Fàtima! Dunque la Madonna aveva benignamente riconosciuto la cambiale firmata dal povero assistente (
Don Perriccioli)..”

L’arrivo della statua della Madonna fu quasi concomitante con la dichiarazione di guerra fatta dall’Italia alla Germania. La gioia fece presto spazio ad un lungo periodo di sofferenze.

Nell’ottobre 1943 i Tedeschi occuparono il laboratorio-falegnameria di San Francesco lavorando giorno e notte per le necessità della guerra mentre iniziavano i mitragliamenti alleati a bassa quota.

Nel 1944 intorno alla chiesa c’era un ingente apparato bellico con molti automezzi nascosti sotto gli alberi. Sul finire del 1944 il laboratorio e tutto l’oratorio si trasformarono di fatto in luogo di cura e ricovero per centinaia di sfollati.

Mons. Angelucci, Vescovo

Fu in una delle tante notti di bombardamento del 1944 che Mons. Angelucci effuse il suo cuore in un Inno alla Madonna di Fatima, musicato poi dal Maestro Cav. Carlo Bufalari. Questi divenne l’Inno ufficiale del Santuario della Madonna di Fatima di Città della Pieve. Eccolo di seguito:

Si tu scendi ancor tra noi, Madre buona Onnipossente; messaggera ai figli tuoi, di speranza e di perdon…

Alma vision di Fatima, amabile e severa, apri il tuo cor de’ miseri, all’umile preghiera…e trovi ognor la patria, favore in tua mercè!

Il tuo cuore immacolato, s’apre ai pargoli innocenti, a parare il triste fato, che già incombe a noi dal Ciel…

Alma vision ecc...

Come al Golgota col Figlio, piangi ancor pei peccatori, che dell’ultimo periglio, han perduto ogni timor…

Alma Vision ecc...

Tu c’inviti a penitenza, tu ci chiami alla preghiera, mediatrice di elemenza, all’afflitta umanità…

Alma vision ecc…

Prende fede dai portenti il messaggio ammonitore, si commuovono le genti, parla Roma e il mondo udì…

Alma vision ecc…

Santa Madre!… al tuo richiamo, peccatori ma tuoi figli, nel tuo Cuor ci rifugiamo, nostra speme è tutta in te!…

Alma vision ecc…

A seguito del passaggio del fronte la chiesa subì lesioni alla cupola, al campanile e ai finestroni. A causa di tali danni rimase chiusa al culto per alcuni mesi.

Ma quando tutto finì rimase nella gente un sentimento di ringraziamento nei confronti della Madonna, verso la statua della Regina bianca, che li aveva accuditi e protetti durante quei terribili mesi. Pellegrini e devoti crebbero a tal punto da rendere l’oratorio dove era custodita la statua un ambiente troppo piccolo. Si cominciò a pensare che l’adiacente chiesa di San Francesco fosse la collocazione perfetta per la statua. Prima però ci vollero due anni di restauro della chiesa, arrivando fino all’anno 1946, l’anno di apertura del primo Santuario italiano della Madonna di Fatima.

Il 7 Ottobre del 1946 la statua della Madonna partì per Roma dove avrebbe ricevuto la benedizione di Papa Pio XII per poi rientrare a Città della Pieve il 13 Ottobre del 1946. Di seguito la cronaca di quei giorni.

“Un lungo corteo di macchine, partite in forma privata, giunse a Roma (a piazzale Clodio) alle ore 17. Ivi, ebbe un’accoglienza calorosa da tutta la popolazione del quartiere Trionfale, dalle suore di S. Giovanna Antida Thouret e dalle alunne delle scuole. Deposta in chiesa la statua, si ebbe una veglia notturna con deferente omaggio ai devoti. Il giorno seguente, dopo una serie di celebrazioni, la partenza per Castel Gandolfo e l’udienza con il Santo Padre per il rito della benedizione. L’incontro, esaltato dall’elogio e dal compiacimento per l’opera svolta, si concluse con il trasferimento della statua nella Chiesa di S. Antonino dei Portoghesi; una sosta di 48 ore, un susseguirsi di pellegrinaggi, quindi l’inizio del viaggio di ritorno, preludio della solenne intronizzazione. Da Viterbo a Orvieto, da Ficulle a Monteleone, fu un continuo salutare di folle genuflesse, un festoso suono di campane, un gioioso inneggiare a Maria finché, la mattina del 13, la Statua, rimasta per un giorno nella chiesa priorale di Monteleone, intraprese l’ultima tappa di questa lunga marcia di avvicinamento al Santuario. Alle dieci e mezzo giunge il corteo di macchine; qualche camion è stracarico di gente che canta; la popolazione si unisce a quei canti e si genuflette, mentre la statua, portata a braccia, fa il suo ingresso in ospedale.

Presenti molte autorità, i medici, le suore, le orfane dell’opera pia Baglioni e il personale. Tutti seguono la Madonna che viene portata in tutte le corsie, dove i malati più gravi si segnano e piangono. La statua, continua il suo viaggio, passando per la circonvallazione, seguita dal corteo di macchine che nel frattempo si è ricomposto. Ancora una sosta, stavolta nel convento delle Clarisse, mentre poco distante da quel monastero si aprono le porte del Santuario.
Alle 11,15, la benedizione del nuovo tempio per mano di Monsignor Angelucci e la lettura del decreto di erezione. Ma è a mezzogiorno – l’ora delle apparizioni – il momento più suggestivo della cerimonia. Grida di gioia ed un prolungato battimani scuotono la chiesa fin nelle fondamenta; è sufficiente, però, un cenno del Vescovo, perché il silenzio torni a riempire lo spazio. Allora è lo stesso Monsignor Angelucci a gridare, per tre volte,”Evviva Maria”. Un’esclamazione cui fanno eco i presenti.
In quell’istante, le campane di tutta la diocesi, si rimandano il lieto annuncio. Poco dopo ha inizio il rito liturgico, al termine del quale il Vescovo impartisce, al popolo genuflesso, la benedizione papale.”

L’abbraccio tra un Don Luigi Perriccioli in lacrime ed il Vescovo termina la prima giornata di festeggiamenti che proseguiranno fino al 20 di Ottobre 1946. In quest’ultimo giorno, all’alba le campane annunciarono la fine della notte Santa di Fatima e l’inizio dell’ultimo giorno di celebrazioni che termineranno con una grandiosa processione per le vie del paese.

L’opera di Don Perriccioli non si fermò qui. Forte del sostegno del proprio Vescovo e con l’aiuto concreto e benevolo della Marchesa Rita Caetani Della Fargna l’8 marzo 1948 fu sottoscritto l’atto costitutivo della Fondazione Perpetua Carlo Caetani della Fargna. La marchesa Rita, in nome delle defunte sorelle Concetta e Teresa, in ricordo del fratello Carlo lasciò i suoi beni (terreni con attrezzi e animali) come patrimonio costitutivo di una fondazione volta a promuovere opere di culto per la salvezza spirituale dell’infanzia e della gioventù di Città della Pieve. La Fondazione venne amministrata da un Consiglio formato dall’Ordinario Diocesano, il Rettore del Santuario, un membro della famiglia e altri.

Mons. Luigi Perriccioli, primo Rettore del Santuario

Il 24 luglio 1948, con Decreto del Presidente della Repubblica, fu attribuita la personalità giuridica al Santuario e, nella stessa data, nominato Rettore perpetuo del Santuario Mons. Luigi Perriccioli.

Il 4 agosto anche la Fondazione ebbe riconoscimento giuridico. Iniziarono lavori vari tra cui la costruzione di un nuovo edificio nell’orto dell’antico convento che avrebbe dovuto accogliere i fanciulli orfani e abbandonati dando istruzione e competenze professionali. L’opera purtroppo rimase incompiuta e tramontò completamente con la malattia di Mons. Luigi ed il suo definitivo trasferimento nel 1957 alla sua città natale Viterbo, dove morì il 22 marzo 1965 e dove è attualmente sepolto.

Gli anni a seguire furono contrassegnati da molte iniziative in onore di Maria. Una su tutte la Peregrinatio Mariae che si tenne tra il 15 agosto ed il 1 settembre 1948 e che attraversò le trentatré parrocchie della diocesi pievese.

Il 1950 fu l’Anno Santo e la Diocesi di Città della Pieve fu molto impegnata. L’ Amministrazione Madonna di Fatima preparò locali per l’accoglienza dei pellegrini.

Nonostante gli anni ’50 abbiano visto un proliferare di iniziative sospinte da un’aumentata fede religiosa, specialmente mariana, con la scomparsa di Mons. Perriccioli molte delle attività da lui create, i laboratori, il teatro, l’Azione Cattolica si esaurirono poco prima del 1960. Rimase solo la Schola Cantorum e, quello che é più importante, una grandissima fede mariana. Nel 1962 i locali dell’opera divennero sede distaccata dell’Istituto per il recupero dei poliomielitici.

Nel maggio 1967, nella ricorrenza del cinquantenario dell’apparizione a Fatima, per due settimane furono presenti in città cinque missionari predicatori che, insieme ad un gruppo di laici, organizzarono momenti di preghiera e predicazione nelle vie della città. Ci fu anche la benedizione degli automezzi al campo sportivo. Nel settembre dello stesso anno fu trasmessa in televisione la Santa Messa dal Santuario.

Negli anni ’70 e sino ai giorni nostri il complesso è stato sede di varie associazioni a scopo umanitario e luogo di attività ricreative, pellegrinaggi, grest, attività pastorali e di catechesi.

Altare dei Santi Fanciulli

Più recentemente, il 15 agosto 2001, Mons. Chiaretti, vescovo della Diocesi, ha ridenominato il luogo “Santuario della Madonna di Fatima e dei Santi Fanciulli”. L’altare a loro dedicato, primo ed unico in Italia, intende testimoniare la santità  acquisita dai Fanciulli e assume in sé il significato del passato giovanile del Santuario nell’opera promossa da Mons. Perriccioli.

Nel corso dell’anno 2017, in occasione del centenario dell’apparizione, è stato organizzato un pellegrinaggio a Roma in treno storico, con la partecipazione del Cardinale Gualtiero Bassetti, durante il quale la statua ha ricevuto la benedizione di Papa Francesco.

Molti anni sono passati da quel 13 ottobre 1946, data dell’ istituzione del primo Santuario italiano della Madonna di Fatima e oggi non assistiamo più a quei bagni di folla di persone entusiastiche ed osannanti la Madonna. Ma, quando il Santuario rimase chiuso per due anni tra il 1999 ed il 2001 per dei lavori di ristrutturazione resisi necessari a seguito del terremoto, tutta la popolazione pievese avvertì un senso di impazienza, tristezza e smarrimento.

*su altra fonte bibliografica si fa riferimento al terremoto del 1766. Nella lista dei terremoti dell’epoca risulterebbe verificatosi un terremoto in Valnerina il giorno 24 dicembre 1766 alle ore 12.24 di magnitudo 4.63.

Pagina aggiornata il 1 aprile 2024